Momenti di Storia

Bottesini nell’Olimpo dei musicisti: “lunga vita al Requiem”!

Per far conoscere a tutti le doti di degno compositore, ottimo contrappuntista e pronto orchestratore, possedute da Bottesini, musicista la cui figura rimane ingiustamente ancora oggi troppo legata all’ambito contrabbassistico, abbiamo scelto di presentare un’opera di difficile reperimento sia dal punto di vista cartaceo che sonoro, che, a nostro parere, racchiude un po’tutti gli aspetti sopra elencati. D’altronde, mettere in luce solamente le qualità melodiche e belcantiste del Bottesini compositore attraverso l’analisi della sua musica da camera o di un suo melodramma sarebbe stato troppo facile così come sarebbe stato superfluo elogiare le sue doti direttoriali attraverso il resoconto della direzione dell’Aida al Cairo. Anche se questa prima opinione troverà già molti ‘esperti’ in disaccordo, in controtendenza e con spirito di “giustizieri” abbiamo scelto di parlare della Messa di Requiem di Bottesini, una delle composizioni di cui l’autore andava maggiormente fiero, nella speranza di restituire a questo lavoro la giusta attenzione che merita, non solo nel panorama della musica colta occidentale ma anche all’interno stesso del repertorio bottesiniano, e di inserire così, proprio attraverso la sua opera maggiormente trascurata, nell’Olimpo dei ‘Musicisti’, il nostro ‘domatore di contrabbassi’.

Il lavoro di un grande musicista italiano

Poco si è detto in ambito critico e musicologico intorno alla Messa di Requiem, scritta dal padre del contrabbasso; ciò che si può leggere a tal riguardo, nei diversi saggi specifici sulla musica di Bottesini, è soprattutto una raccolta di articoli, contenenti giudizi e opinioni principalmente ‘negative’, scritti da giornalisti di fine Ottocento, che credo abbiano influenzato profondamente le opinioni più recenti degli studiosi contemporanei e abbiano conseguentemente pregiudicato, e continuano a pregiudicare, la fruizione della Messa oggi.
Molti studiosi definiscono lo stile del Requiem semplicemente come eclettico ed esprimono tale giudizio senza preoccuparsi di analizzare il contesto mesoculturale ed exoculturale in cui visse e si formò il Bottesini musicista e dunque senza considerare la sua indole ed i suoi principi umani.
Alla luce di ciò il suo eclettismo, a nostro parere, si tramuta in una ricerca di ‘effetti’ sulla fruizione dell’ascoltatore. Questa volontà però non porta mai l’autore ad allontanarsi dalla tradizione bensì a guardare al passato prossimo, all’arte dei grandi maestri. Tutto ciò viene realizzato senza riuscire a trattenere quell’impulso melodico innato e amplificato durante l’infanzia nella sua adorata Crema e, ancora, coltivato attraverso lo studio del canto. La famiglia Bottesini era attivamente impegnata nella Banda e nell’Orchesta di paese dove Bottesini collaborò in diversi ruoli: timpanista, cantante, violoncellista e, forse, violinista.
Il requiem è una forma che per natura umana impone un lavoro che in modo cosciente o meno spinge gli uomini a confrontarsi con la realtà della vita e a richiamare istintivamente esperienze passate. Se a ciò si aggiunge una circostanza personale come in questo caso la morte del fratello Luigi, potremmo anche pensare, senza scendere nel trascendentale, che da questo Requiem si possa leggere tra le righe “l’anima” di Bottesini: il promettente cantante, l’egocentrico contrabbassista, l’ambizioso compositore, l’aspirante direttore d’orchestra, il generoso padre di famiglia, il grande musicista italiano.
Bottesini compose il Requiem in un periodo della sua vita che oserei definire ‘di ritorno’ per la sua carriera. Ormai direttore dell’orchestra del Teatro al Cairo aveva raggiunto il suo obbiettivo: essere riconosciuto come Maestro, indipendentemente dal ‘Viorone’. Dalla lettura delle lettere del carteggio, corrispondenti agli anni settanta e ottanta dell’Ottocento, dunque, scritte durante l’ultima parte della sua vita, si avverte un profondo cambiamento nel suo stato d’animo. Non è più il Bottesini ambizioso che scrive, ma un uomo che al termine della sua carriera, dopo fatiche e successi, scopre la propria verità. Bottesini è stanco, non sopporta più i capricci degli orchestrali, è irritato dal contaminato e corrotto mondo dello spettacolo, vuole tornare in Italia, nel suo paese, vuole ritornare dal suo odiato ma sempre amato violone. Questo forse lo stato d’animo dell’autore del Requiem che scrive l’opera per il fratello morto. Infatti Bottesini non si era mai avvicinato alla musica sacra anche se sappiamo che egli scrisse insieme al fratello, come testimoniato da una lettere del 1876 indirizzata a Giulio Ricordi, una Messa di cui però non si conosce nulla. Probabilmente soddisfatto da questa esperienza in futuro scriverà altri brevi pezzi sacri e un oratorio in inglese dal titolo The Garden of Olivet, mosso da ben altri interessi e inserito in realtà notevolmente diverse.

Storia di un ingiusto insuccesso

La Messa di Requiem fu eseguita per la prima volta il 2 febbraio 1877 nella chiesa dei Francescani in suffraggio del fratello Luigi, trombettista dell’Orchestra del Teatro del Cairo, morto in quello stesso luogo nel gennaio dello stesso anno. Questa prima esecuzione però non fu integrale bensì senza le parti femminili in quanto i frati francescani non volevano che le donne cantassero nella loro chiesa.
La prima esecuzione completa del Requiem venne realizzata a Torino, probabilmente il Venerdì Santo del 1880, in coincidenza della chiusura della stagione di Carnevale (per conseguente inizio della Quaresima) del Teatro Regio, con lo scopo di ripristinare la vecchia tradizione, caduta in disuso, di eseguire nella Settimana Santa un concerto sacro. L’idea dell’allora impresario del Teatro di scegliere proprio il Requiem di Bottesini era dovuta al successo che in quel periodo egli stava ancora riscuotendo grazie alla sua opera, Ero e Leandro. Ma in questa occasione il Requiem non ebbe la partecipazione sperata. Probabilmente l’insuccesso non va ricondotto tanto all’opera in questione quanto al fatto che il pubblico non era più abituato a frequentare il teatro nei giorni della Settimana Santa. Questo episodio però influì molto sul successo futuro del Requiem anche se non impedì all’autore di vincere, l’anno successivo, una medaglia d’argento e, con essa, la possibilità di eseguire questo suo lavoro durante l'Esposizione Nazionale di Musica di Milano.
Questa è l’unica soddisfazione che Bottesini ricevette dalla sua opera prediletta.
La Messa, infatti, non è più stata eseguita sino al 1979, quando venne presentata in prima esecuzione presso il Duomo di Crema, diretta da Pierluigi Urbini.
Questa stessa edizione venne poi ripetuta l’anno seguente in S. Marco a Venezia; a quella circostanza risale l’unica incisione voluta dalla RAI e realizzata dalla Fonit Cetra.

Un capolavoro nel giusto contesto

In questo contesto non avrebbe senso parlare del Requiem inserendolo nella storia di questo genere, ricercando influenze, ovviamente presenti, di altri autori “classici”, primo fra tutti Mozart, o fare un confronto con il contemporaneo capolavoro di Verdi. Non avrebbe neppure senso discutere delle qualità contrappuntistiche, sicuramente presenti in forma rigida e accademica, di un autore cresciuto ed educato alla scrittura e alla composizione dalla generazione che ha “inventato”lo stile classico.
La nostra proposta è quella di considerare il Requiem di Bottesini nella sua essenza e riconoscere in questo lo stile e la personalità del nostro compositore.
Da una prima visone globale, dall’ascolto e dall’analisi della partitura, emerge la volontà di Bottesini di dare unitarietà all’intero lavoro. Il primo fattore indice di questa volontà risiede nella scelta dei tempi dei singoli numeri in successione; come si può vedere dalla tabella, egli usa il 4/4, il 3/4 e, in un solo caso il 3/8 (Ingemisco). Egli si riserva dell’uso del tempo ternario solo in corrispondenza dei momenti di apertura al lirismo o comunque in generale in quei frangenti in cui vuole creare ‘varietà’. Ecco dunque il primo spiraglio di melodia nel Quid sum miser, il senso di soavità dell’Ingemisco, la luminosità e l’apertura del fraseggio di ampio respiro del Domine Jesu e infine il carattere elegante del Benedictus e quello danzante dell’Agnus Dei, tutti momenti che spiccano dal colore tradizionale del Requiem come attimi di luce.
L’unitarietà è data pure dall’impiego delle tonalità scelte in ambiti relativamente vicini. La sfera tonale prescelta gira attorno al DO con le relative relazioni ad entrambe le modalità, ‘maggiori’ e ‘minori’; da qui l’autore ci porta alla dominante, alla sottodominante, al sesto grado abbassato, alla relativa minore, con due sole eccezioni in coincidenza di due momenti importanti ma anche di tensione della messa. Infatti, in corrispondenza del Quaerens me (in MI maggiore) e del Sanctus (in SI maggiore), Bottesini si allontana parzialmente dalla tonalità di base per dare il giusto rilievo a questi due numeri che, non a caso, si distinguono anche per il pieno orchestrale e per la presenza esclusiva del coro.
Addentrandoci ulteriormente nel lavoro, il senso di unitarietà lo percepiamo dall’atmosfera che Bottesini crea attraverso la scelta degli strumenti e il loro particolare uso.
I fiati e, in particolar modo, gli ottoni, hanno in questo lavoro un ruolo predominante. Cinque pezzi della Messa (Requiem, Quaerens me, Confutatis, Domine Jesu, Sanctus) si aprono con un’introduzione affidata alle sezioni dei legni e degli ottoni a cui viene spesso affidato il tema principale dell’intero pezzo; sempre ai fiati spetta il compito di lieson dei diversi episodi, specie nei brani bipartiti. Quest’ultimo aspetto rientra tra quelli che definirei elementi stilistici e unificanti di questa Messa. Mentre però gli ottoni, strumenti per tradizione legati alla rappresentazione delle realtà infernali, hanno il compito di introdurre e aprire i numeri, il compito di legare internamente i vari episodi attraverso battute di raccordo è dato dall’autore ai clarinetti (per es.:Lacrimosa, bb. 45 – 47; Quid sum miser, bb. 43 - 46). Il clarinetto, strumento dal timbro creativo di atmosfera evocativa per eccellenza, in particolar modo, ha una posizione di rilievo in tutta la Messa (Quid sum miser, bb. 4 – 7 e bb. 75 – 77). A tal proposito ricordiamo che Bottesini conosceva bene il clarinetto perché il padre era un famoso clarinettista, inoltre, proprio per questo, non sarebbe illecito ipotizzare un uso simbolico di tale strumento in una Messa dedicata al fratello defunto.
Al contrario di come si potrebbe immaginare, poca attenzione viene data alla sezione degli archi, che svolgono principalmente una funzione di basso armonico/ritmico ma soprattutto di sostegno delle voci o di raddoppio delle stesse nei “fugati”. La classica simbologia legata alle figurazioni musicali è pure affidata frequentemente ai violini nelle loro scale ascendenti o discendenti che potrebbero essere riferiti rispettivamente l’ascesa in paradiso (come ad esempio in Dies Illa, bb. 135 - 148) e la discesa agli inferi, (come nei violini di Requiem aeternam, Kirye e Dies Irae), o nelle scale cromatiche, indicanti il senso di morte (Dies Irae, bb. 38 - 42).
Elemento stilistico unificatore squisitamente bottesiniano e di grande interesse, specie se ci si interroga sul significato, è l’acciaccatura, nella sezione degli archi, doppia (si veda Requiem aeternam, bb. 60 – 61 o Libera me, bb. 70 - 71), ma ancor di più la tripla acciaccatura (per esempio: SOL, LA, SI, DO) usata sovente sempre nella stessa sezione (si vedano per esempio in Requiem aeternam, bb. 30 – 32; in Dies Irae, bb. 7 – 12, 33 – 34, 38 – 39; in Libera me, bb. 82 – 83); altro elemento peculiare del suo stile consiste nell’uso (anche se forse in questo caso sarebbe meglio parlare di un’abitudine) di concludere ogni cadenza, non solo quella di fine brano, con una ripetizione delle note fondamentali, I – V – I, (si vedano in Ingemisco b. 36 e b. 40) solo nella sezione dei bassi (come anche nel secondo tempo del Concerto in si minore).
Tipicamente italiano è il trattamento della coppia grancassa/piatti, percussioni usate insieme, così come in voga in quel periodo, con il conseguente eccessivo effetto timbrico bandistico-popolare. D’altronde, non dimentichiamo che il Requiem era considerato come una grande opera e, come tale, doveva catturare l’attenzione, affascinare, divertire, e presentare tutte le caratteristiche del coevo melodramma ottocentesco. Ascoltando nel suo complesso questo lavoro, ci sembra di sentire delle vere e proprie arie d’opera. Tra tutte, emblematica del lirismo italiano di fine Ottocento è il brano-aria per tenore solo Quid sum miser dove la contabilità di Bottesini è inequivocabilmente riconducibile al suo stile.
Che Bottesini conoscesse il mestiere del compositore è ulteriormente dimostrato dal trattamento del testo e della sua resa in musica. Anche sotto quest’aspetto Bottesini dimostra di rimanere legato alla tradizione rispettando le convenzioni connesse alla redazione di questa forma: egli presta attenzione ed evidenzia le parti affidate ai solisti da quelle destinate per usanza al coro. In base al significato del testo intende il solista come una figura simbolica la cui funzione è quella di rappresentare “l’umanità” nelle sue fragilità, mentre al coro da il compito di comunicare la grandezza sovraumana e il senso di universalità che in essa è implicito. Si consideri a tal proposito, a scopo esemplificativo, la struttura della melodia affidata al soprano solista del Domine Jesu. In questa scrittura si può individuare una simbologia legata strettamente al significato dei termini enunciati; vediamo allora il salto discendente d’ottava in coincidenza del nome Christe, che potrebbe rappresentare la venuta di Cristo sulla terra (Domine Jesu, b. 10, 12, 48) oppure la salita in coincidenza della frase libera eas, che sottolinea il senso della stessa (Domine Jesu, bb. 21 – 23).
Quanto detto è solo un’introduzione per un invito all’analisi del Requiem ma dovrebbe essere sufficiente per capire che un suo eventuale ascolto ed approfondimento potrebbe essere utile non solo ai cultori della storia della musica per conoscere meglio i caratteri di quella generazione di musicisti italiani definiti “minori” che la costituiscono ma anche e soprattutto agli interpreti che hanno nel loro repertorio delle opere di Bottesini, per approfondire alcuni tratti stilistici.

 

Silvia Mattei

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