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Traiettorie 2006: Garth Knox-Stefano Scodanibbio Duo

Immaginate un grosso, enorme strumento, una splendida e vasta cavea semi-ovale con 14 gradoni sormontati da due ordini di logge sovrapposte. Un fantastico tempio del suono. Ponetevi all’interno due grandi esecutori accompagnati dai loro rispettivi strumenti, o meglio due mentis musicae, che fanno della nota scritta un esempio concreto e perfetto di massima interpretazione contingente e coerente. Un evento unico! Che dire?


Jeleg Op.5
per viola sola di G. Kurtàg dà inizio all’evento, e fin da subito si capisce che sarà una serata speciale: questi sei piccoli movimenti, dalla breve ma intensa parabola compositiva, sono interpretati dal M.° Knock con una gran carica emotiva che ne esalta la profondità del valore espressivo e del messaggio acustico. Segue Sequenza XIVb per violoncello di L. Berio nella libera interpretazione del M. Scodanibbio. Tacere ed ascoltare!!! Quello che si può dire è che ciò che una volta veniva definita sperimentazione, oggi è, nelle mani del Maestro, pura certezza. Scodanibbio non ha solo reinventato lo strumento, ma ne ha ampliato le potenzialità tecniche già proprie: nelle sue mani una semplice arcata a tutto crine assume sfaccettature infinite di dinamica ed agogica, la tavola armonica risuona in tutta la sua ampiezza e le corde vibrano e urlano, gioiscono e cantano. Il suono viene scomposto e ricomposto, strutturato e destrutturato in un processo che va al di là della pura forma musicale su partitura, ma che coinvolge e rende unica ed irripetibile, assolutamente eccezionale, l’esecuzione stessa. E in tutto questo non c’è mai flessione di performance, la forma è costante e la struttura solida. Da un punto di vista esecutivo il M. Scodanibbio dimostra che cosa voglia dire interpretare, ovvero rendersi partecipe della partitura stessa, diventare un tutt’uno con essa, ampliarne le possibilità là dove il proprio “ego” artistico sente la necessità di esprimersi, senza mai forzare e sconvolgere il significato globale dell’opera. La sala, gremita, subisce una comunicabilità di estremo valore. Un minuto di silenzio, assoluto silenzio, e poi si ricomincia: Voyager that Never Ends - I e IV tempo. Ecco che per un momento lasciamo questo splendido teatro rinascimentale per procedere in un viaggio nell’infinito cosmo del suono. E tutto risuona!!! Un viaggio che comincia al limite della tastiera ed all’estremo delle possibilità strumentali, un susseguirsi di suoni-segni, sbalzi dinamici e repentini cambi d’ agogica che irrompono sulla scena con la prepotenza e la naturalezza di una nuova esperienza auditiva indelebile!!! E, che va ben oltre il limite temporale imposto dalla contingenza dell’esecuzione: un viaggio che non ha più fine...

Una breve pausa e la performance viene ripresa dal M.° Knock che si esibisce dapprima in Siorram di J. Dillon, una composizione molto complessa dove il nostro mette in evidenza l’esperienza e la sagacia tecnica di un virtuosismo ai limiti della microtonalità e, soprattutto, Viola Spaces, sua personale elaborazione composta da tre movimenti nel quale vengono approfondite alcune tecniche inusuali per lo strumento: il pizzicato, in cui si spazia dalla letteratura chitarristica fino al repertorio violinistico più moderno, il flautato, basato sul reiterare di un lieve eco spettrale che rincorre il suono reale - ottenuto sfregando l’arco sulle fasce della viola stessa, - e l’utilizzo estremo degli armonici, in cui il M.° Knock mostra tutta la sagacia tecnica del virtuosismo contemporaneo. Segue poi Quartetto per viola sola di M. Traversa nella quale lo strumento del Maestro si trova a confrontarsi con echi e loop della propria performance, riproposti e rielaborati da altoparlanti disposti attorno, i quali assurgono al ruolo di veri e propri esecutori.
Ed è proprio in conclusione che i due geniali interpreti e compositori ci regalano un’esperienza unica, irripetibile, un’anteprima mondiale che trova la sua massima efficacia proprio nel luogo dove avviene la performance, il terzo grande ed magnifico interprete della serata: il Teatro Farnese stesso. Farnese Landscape è un gioco a tre, tra i due sopraffini musicisti con i loro strumenti ed il teatro stesso, vivo di un’acustica mirabile, capace di rispondere perfettamente agli stimoli spazio-temporali solleticati dagli spostamenti del M.° Knock, che cammina, si sposta, vaga tra le scalinate e sopra il palco, fiancheggia la platea e si perde dietro il grande palcoscenico restrostante, e che trovano nel Baldantoni del M.° Scodanibbio non solo un fattore di risposta ed eco, ma anche, e soprattutto, un sicuro punto di riferimento attraverso cui potere orientare il proprio percorso sonoro. Non si ha l’impressione di un invenzione istantanea, ma di un costante susseguirsi del tema che mai abbandona l’ascoltatore a se stesso, ma lo segue, lo guida e conduce nelle terre remote del suono e nei lochi magnifici di questo Teatro unico ed irripetibile tanto quanto i suoi compagni-esecutori di oggi...

Un fantastico spazio, la genialità avveneristica del M.°Scodanibbio, la versatilità e forza del Maestro scozzese: un evento che ha lasciato un segno indelebile in chi scrive...

Riccardo Valsecchi