Nuovi Orizzonti

Questo articolo è principalmente rivolto agli insegnanti perché propongano questi nuovi esercizi ai propri allievi in alternativa agli esercizi tecnici standard. Sarei poi curioso di raccogliere delle reazioni. Innanzitutto vi chiederei: "Riuscite facilmente a convincere i principianti a studiare tecnica? Come li motivate? Che risultati ottenete?". Naturalmente, anche gli studenti sono incoraggiati a rispondere…

Un nuovo modo di studiare tecnica: ritmo e misurazione

“Tecnica” è un termine che viene dal greco téchne, il cui significato è associato ad un’azione di dominio, di controllo, di potenza esercitata sul mondo. Nel nostro caso è evidente che il termine va circoscritto all’ambito in cui operiamo: quello musicale. La tecnica è stata promossa dall’esigenza di dominare lo strumento e di conseguenza il materiale musicale: il che significa, per essere ancora più precisi, che questo termine designa gli schemi di coordinazione ritmico motoria che immettiamo nel sistema nervoso, movimenti corporei super specializzati necessari a realizzare specifici eventi musicali che ci consentono di vivere un’esperienza legata ad un determinato obiettivo artistico. Lo studio della tecnica si basa principalmente sulla reiterazione: l’azione ripetuta produce l’abilità che interiorizzata si esprime come automatismo. L’automatismo a sua volta esonera dalla ripetizione dei tentativi e libera l’azione per la produzione di altri significati espressivi. Tale azione, aggiungo, deve essere efficace ed economicamente vantaggiosa, cioè rispondere al requisito del massimo risultato con il minimo sforzo.
Il problema della tecnica è nell’abuso che se ne fa, cioè quando essa da mezzo per raggiungere determinati obiettivi artistici diventa fine stesso dello studio e finisce per trasformarci in mostri meccanici senza espressività. D’altra parte, se abbiamo un’idea artistica e la vogliamo realizzare sullo strumento, dobbiamo disporre dei necessari mezzi tecnici. La tecnica è la condizione per realizzare ciò che il nostro orecchio interiore ha immaginato. Il dilemma è: fino a che punto è il fine artistico a condizionare la ricerca e l’acquisizione dei mezzi tecnici necessari, e quanto invece la cresciuta disponibilità dei mezzi tecnici a dispiegare il ventaglio delle possibilità espressive e meccaniche che per loro tramite può essere raggiunto? Si rischia il paradosso: occorre trovare un grande equilibrio tra tecnica e musica per non perdere di vista l’obiettivo essenziale: lo sviluppo armonioso dell’individuo. Attenzione, quindi: ci muoviamo sul filo del rasoio!

Esercizi di tecnica

Abbiamo esaminato nel precedente numero di Xbass uno degli aspetti tecnici più interessanti: l’intonazione. Vorrei ora affrontare un altro argomento di grande rilevanza: lo studio degli esercizi di tecnica. Molti si limitano a considerarlo un training puramente meccanico mentre, per me, equivale a trattare un aspetto essenziale attorno a cui ruota tutta l’educazione musicale: il “senso ritmico”. Il senso ritmico è ben diverso dal semplice andare a tempo: si tratta di un potente istinto musicale che “sonnecchia” in ciascuno di noi e che deve essere opportunamente stimolato e risvegliato. Per far ciò non basta semplicemente limitarsi a seguire il tempo scandito da un metronomo, ma occorrono esercizi in grado di coinvolgere sia fisicamente sia emotivamente, che mettano in gioco la propria energia e vitalità. Occorre riflettere con molta attenzione sulle conseguenze dei due diversi approcci: il primo, che considera il metronomo punto di riferimento, riduce l’esercizio ad una semplice questione di misurazione ed esattezza meccanica; l’altro, invece, intende integrare nell’esercizio elementi presi dalla vita, cioè si propone di far entrare in contatto lo studente con tutta la vitalità di questa potente forza originaria che è il ritmo.

L’esercizio tradizionale

Gli esercizi tecnici tradizionali solitamente utilizzati vengono abitualmente eseguiti:

  • completamente a solo;
  • idem, ma con l’ausilio del metronomo. In entrambi i casi, si tratta di esercizi con effetti limitati, di tipo esclusivamente meccanico: zero espressività, nessun coinvolgimento, tutto è ridotto a meccanismo vuoto e ripetitivo, come se il corpo non fosse altro che una macchina da programmare, un approccio totalmente anti educativo. Il grande limite di questo tipo di esercizi musicalmente inconsistenti è che non riesce a mettere in contatto l’individuo con la forza, la vitalità e la potenza del ritmo. Né usare il metronomo migliora la situazione, anzi: infatti, questo apparecchio è un semplice misuratore meccanico del tempo, e in quanto tale non è in condizione di stimolare né coinvolgere chi lo utilizza. Senza contare che, per esercitarsi ed impegnarsi, al principiante occorrono forti fattori “motivazionali” in una fase, quella iniziale, in cui la lentezza dei progressi induce a volte allo scoraggiamento ed alla noia: orbene, non è certo un esercizio tradizionale con qualche variante a fornirgli tale tipo di motivazione…
    La soluzione che propongo, desunta da anni di esperienza, viene dal buon senso: poiché si studia molto (ma mooolto…) più volentieri un pezzo musicale piuttosto che un esercizio tecnico che sviluppa solo meccanismo fine a se stesso, per risolvere il dilemma occorrerà creare un esercizio che integri le due cose. Altrimenti, continueremo a dire che non bisogna mai separare la tecnica dalla musica, ma se poi questi bei discorsi non si tradurranno in esperienza viva rimarremo sul piano di un elegante ma inutile esercizio intellettuale.

    “Nuovi” concetti tecnici

    Vorrei anzitutto chiarire un aspetto formativo su cui si generano molte incomprensioni, nel senso che si assiste ad un rovesciamento di prospettiva didattica rispetto agli obiettivi prioritari che occorre conseguire.
    Un esercizio tecnico ha come scopo la risoluzione di un problema, quindi un obiettivo di miglioramento. Ora, dobbiamo intenderci bene su cosa si intende precisamente con questo termine: “miglioramento”. Forse che riuscire semplicemente ad eseguire un esercizio al tempo richiesto e senza troppe stonature può essere considerato un miglioramento, cioè un buon risultato? … Assolutamente no!
    Un risultato per essere considerato buono deve presentare i seguenti requisiti:

  • i movimenti degli arti debbono essere fluidi, espressivi e rilassati (e qui si dovrebbe aprire un grande capitolo sulla consapevolezza corporea e sulla coordinazione ritmico-motoria…)
  • l’esecuzione deve essere accompagnata da una respirazione regolare e profonda, che agevola il tipo di movimenti di cui sopra
  • lo studente va coinvolto nell’esercizio, deve cioè essere stimolato a liberare la propria energia, in modo tale che abbia veramente la sensazione di suonare un pezzo di contenuto musicale e non semplicemente quella di eseguire una lista di istruzioni meccaniche… bisogna considerare l’espressività come una delle priorità dell’esercizio!
  • Ciascuno dei precedenti requisiti deve essere integrato. Quando siamo di fronte a questi requisiti o, comunque, stiamo procedendo decisamente verso questi obiettivi, significa che procediamo verso un risultato vero, intero e non parziale.
    Diversamente, in mancanza di questo cosa osserveremmo? Soltanto un esecutore “ingessato”, rigido, che cerca di eseguire il suo “compitino” con meno errori possibile. Oberato da una quantità di preoccupazioni finisce per perdere di vista l’essenziale: suonare! Per concludere: se in un esercizio si ricerca la sola precisione ma mancano la fluidità e l’espressività, non dovremo considerare il risultato conseguito un risultato parziale ma, ahimè, pressoché nullo. In altre parole, una didattica illuminata si dovrebbe occupare non tanto dell’esecuzione, quanto dell’esecutore, che è il vero centro del processo educativo (e non il pezzo o l’esercizio!). Occorre una didattica capace di intervenire sulle tensioni che impediscono l’integrazione con lo strumento. E’ inutile concentrarsi sul cambio di una diteggiatura o sulla correzione di alcune note: rimedi estemporanei che non modificano la situazione. Scegliete esercizi e pezzi semplici, con i quali siete a vostro agio e vi consentono di lavorare sulle tensioni: non esitate a semplificarli se avvertite rigidità nei movimenti. Se manca la fluidità manca l’essenziale per far funzionare il sistema uomo/strumento. Per ottenere questi risultati occorre intervenire sulla propriocezione (la capacità di “sentirsi”), la consapevolezza corporea, la coordinazione motoria ecc, materie che pochissimi insegnanti -ahimè - conoscono e sono in grado di maneggiare: le tensioni sono per la maggiora parte generate da una scorretta coordinazione tra i due lati del corpo. Di conseguenza, non ci occorrono nuovi libri di tecnica (basta, per carità!): quelli che ci sono bastano ed avanzano. Ciò che invece ci serve è integrazione con lo strumento, altrochè diteggiature alternative… In sintesi: se un esecutore è rigido, anche se eseguirà le note “giuste” andando a tempo, sarà sempre valutato come tecnicamente insufficiente.

    Nuovi esercizi

    Riflettendo sul mio iter formativo di studente, e poi sulla mia esperienza di insegnante, ho rilevato che ho impiegato parecchi anni di studio per conseguire determinati obiettivi tecnici e che ho avuto bisogno di integrare le informazioni apprese durante le lezioni e lo studio personale con una serie di esperienze musicali sul campo, suonando insieme agli altri. Mi sono chiesto allora se sarebbe stato possibile arrivare a certi risultati attraverso un differente approccio didattico, che integrasse maggiormente tecnica e musica. E’ così che sono nati questi esercizi. Constatato, e credo che qui saremo tutti d’accordo, che gli esercizi tecnici tradizionali sono una grandissima rottura di palle, sia per chi li deve ascoltare che per chi li deve eseguire, è ovvio che per poter dare caratteristiche differenti allo studio tecnico è indispensabile introdurre innanzitutto materiale adatto alle nuove esigenze. Tuttavia, cambiare materiale di studio può essere utile ma non è ancora sufficiente: la novità più interessante consiste nel cambiare anche la modalità di studio ed esecuzione, che può e DEVE sfruttare le moderne tecnologie multimediali. Pertanto, ecco le mie proposte:

  • sostituzione del metronomo con delle basi di percussione africana (questo sì che induce vero ritmo!)
  • composizione di nuovi esercizi (in sostituzione di quelli tradizionali) calcolati per funzionare in stretto accordo con le basi suddette
  • individualizzazione di ogni esercizio, il cui grado di difficoltà sarà in funzione del livello di preparazione del singolo allievo;
  • aggiunta di un contrabbasso di riferimento per l’intonazione alle basi di percussione, necessario per mantenere una costante relazione di esattezza non solo ritmica ma anche uditiva.
  • A questo punto l’esercizio si trasforma: invece di una serie di vuote varianti, suonate da solo, mi ritrovo una sequenza di moduli ritmici da articolare su una base afro. Possiamo paragonare questi moduli a dei giri di basso: infatti, un giro di basso se ripetuto e ben congegnato si può definire, a tutti gli effetti, una variante; nello stesso tempo, presenta rispetto ad essa delle sostanziali differenze (consideriamo che stiamo utilizzando delle basi di percussione africana!!!). Subito la seduta di tecnica acquista vitalità ed interesse: lo studente non può fermarsi, rallentare, cincischiare, sbadigliare: ha un pezzo da portare a termine! Non suona più “seduto”, passivo: aumentano ritmicità, concentrazione e partecipazione, dovute alla necessità di dare continuità all’esercizio. Se poi l’esercizio si suona in gruppo, come spesso facciamo al Conservatorio di Pesaro, la sfida e la competizione spingono a tirare fuori il meglio di sé. La versione integrale di percussao dura 6 minuti. Bastono due esecuzioni, e ogni giorno avremo studiato 12 minuti tiratissimi di tecnica, un risultato più che soddisfacente per un principiante. Senza neanche annoiarsi, anzi…

    Percussao! Genesi di un esercizio

    Percussao! è il nome con cui ho definito il nuovo esercizio. L’esempio audio che segue (es. n. 1) è stato lo spunto iniziale: si tratta di un pezzo che ho ascoltato per caso su un cd anonimo, di cui non so praticamente nulla tranne che è suonato da un gruppo di scatenatissimi africani.

         
           

    Su questa base ho realizzato, con il programma di scrittura musicale, un primo esercizio, la cui difficoltà iniziale veniva incrementata a seconda del livello di preparazione dello studente. Si tratta di un esercizio formato da moduli di una battuta: questi brevi moduli devono essere ripetuti 4 volte ciascuno (tranne in due casi, segnati sulla parte, in cui non ci sono ritornelli). Si tratta, come avrete ben compreso, della riproposizione in chiave moderna del noto principio della variante, rispetto al quale tuttavia, ne abbiamo parlato in precedenza, ci sono parecchie differenze. Vediamo, nell’esempio che segue, un frammento scritto dell’esercizio (esempio n. 2). Potete sia ascoltare l’esecuzione dei moduli (es. n. 3) sia provare ad eseguirli sovrapponendovi alla base di sole percussioni (es. n. 1)

           

     

    Tuttavia, l’esercizio non è ancora pienamente efficace: in questo modo il senso ritmico viene energicamente stimolato ma rimangono aperti alcuni problemi legati alle difficoltà di intonazione. Così, in una successiva versione dell’esercizio, ho rimaneggiato la base africana aggiungendovi un contrabbasso con funzione di “tonica ritmica” come riferimento per l’intonazione. Quindi, ecco la base definitiva sulla quale esercitarsi:

           

    In questo modo, grazie alle basi, lo studente si trova circondato da stimoli musicali che lo costringono ad impegnarsi al massimo, proprio quello che volevamo ottenere dal nostro esercizio tecnico. Inoltre, incredibile a dirsi!, l’esercizio tecnico in questione lo diverte! Ascoltate nell’esempio successivo come funziona l’esecuzione dei moduli, cioè delle varianti, eseguiti sopra la base definitiva:

           

    La differenza rispetto al repertorio tecnico tradizionale è notevole, l’energia messa in movimento fa dell’esercizio un vero e proprio pezzo. A questo punto non resta che giocare un po’ con il materiale, strutturarlo, sfruttando il sistema per dare inizio ad altri esercizi originali. Ricordate di semplificare i moduli qualora la loro esecuzione vi causasse delle rigidità.

    Buon lavoro!!

    N.B. Questo tipo di esercizi si rivela utile soprattutto nei casi di allievi principianti che non si rassegnano ai programmi tradizionali ma anche con gli studenti avanzati con tendenza a contenere l’energia in favore di un’esecuzione precisa ma fredda e scarica. Nei casi di allievi che invece studiano con profitto seguendo il sistema tradizionale e ottengono risultati positivi, l’esercizio può comunque essere usato per integrare la seduta di tecnica.
    Esso può essere utilizzato “a solo”, per lo studio casalingo, oppure in gruppo (sia all’unisono tutti insieme sia alternandosi): a mio avviso si tratta di un esercizio che dal punto di vista didattico ha dalle potenzialità enormi.

    P.S.: Il materiale qui pubblicato è parte di un trattato di prossima pubblicazione.

    Alfredo Trebbi

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