I Concerti di Giovanni Bottesini: una possibile ricostruzione storico-filologica
Come articolo inaugurativo di questo nuovo spazio del magazine, dedicato alla storia della musica in generale e, nello specifico, alla ricostruzione storica e allo studio delle scuole contrabbassistiche, delle biografie e delle opere dei maggiori contrabbassisti del passato, abbiamo scelto di approfondire un argomento tanto interessante per gli interpreti e per gli studenti del nostro strumento quanto difficile da affrontare a causa degli aspetti enigmatici intrinseci ad esso e, come tali, ancora irrisolti dalla musicologia.
Ricostruiremo, per quanto possibile, la ‘storia’ dei due concerti di Giovanni Bottesini, oggi conosciuti come Concerto n. 1 in Fa# minore e Concerto n. 2 in Si minore per contrabbasso, tentando di fare un po’di chiarezza, riportando informazioni non solo di natura storica ma anche codicologica, al fine di risalire alla loro genesi.
I manoscritti: cronologia e storia
Entrambi i concerti sono riconducibili ad otto manoscritti, conservati nella sezione musicale della biblioteca Palatina del Conservatorio di Parma: quattro sono relativi al Concerto in Fa# minore e quattro a quello in Si minore. Di ogni concerto esistono due versioni: una per contrabbasso e orchestra e una per contrabbasso e pianoforte, inoltre, ciascun concerto è scritto in due tonalità a distanza semitonale.
Dunque, semplificando, esistono i seguenti manoscritti:
Prima di addentrarci nella descrizione delle opere in questione è importante fare alcune precisazioni. Bottesini usa due termini per definire il Concerto n. 2: in base all’organico coinvolto, egli nomina "Concerto" le versioni per contrabbasso e pianoforte, e "Concertino" quelle per contrabbasso e orchestra. Questa particolarità si dimostrerà interessante per la collocazione cronologica del Concerto in Fa# minore.
Un’altra importante osservazione generale riguarda invece l’autenticità dei manoscritti. Mentre, come vedremo, il Concerto in Si minore mostra tutti manoscritti autografi, quello in Fa# minore presenta un solo manoscritto con una annotazione autografa riconducibile inequivocabilmente a Bottesini: si tratta di quello contenente la versione orchestrale in Fa# (la versione con pianoforte in Fa# è senza dubbio una copia, quella pianistica in Sol potrebbe essere di Bottesini come anche quella orchestrale ma gli studiosi non concordano nelle loro affermazioni pertanto il problema è ancora irrisolto).
L’annotazione autografa del Concerto in Fa# minore è per noi oggi molto importante perché contiene informazioni sui luoghi e sulle date di inizio e fine stesura: Lausanne 14 Maggio 1878. / Baden. Baden. 18 Giugno.
Se tali date circoscrivono il periodo di ‘redazione’ del concerto, queste però non ci dicono nulla circa il reale momento di creazione dell’opera. Infatti Bottesini in quanto virtuoso e compositore intrecciava abitualmente la viva pratica con l’atto compositivo: egli eseguiva i suoi pezzi che di volta in volta subivano variazioni sulla base di riflessioni e sperimentazioni esecutive. Un tale modo di procedere è testimoniato dal suo repertorio scritto e coinvolge in particolar modo le due opere in questione giustificando le diversità esistenti tra un manoscritto e l’altro del medesimo concerto.
Attraverso la lettura del carteggio dell’autore e la ricerca di documenti di cronaca è tuttavia stato possibile risalire al periodo di ‘invenzione’ e prima esecuzione del Concerto in Fa# minore. Secondo quanto riportato da Gaspare Nello Vetro nella sua Cronologia (in Giovanni Bottesini 1821-1889), il 15 agosto 1841, in occasione della festa solenne dell’Assunta nella cattedrale di Novara, Bottesini esegue un Gran concerto per Contrabbasso e il 30 maggio del 1853, a Londra, esegue un Concertino in Fa# minore per contrabbasso e orchestra. Dai manoscritti parmensi sappiamo che il nostro autore riserva il termine ‘concertino’ solo al Concerto in Si minore; inoltre, la mancanza di numero nella titolazione ci fa pensare che non esistessero ancora altri concerti; pertanto, dobbiamo ritenere che in entrambe le circostanze i due concerti dovevano presentare delle forme embrionali del materiale poi confluito solo nel 1878 nel Concerto in Fa# minore. Considerando l’intensa attività rielaborativi a cui Bottesini sottoponeva le sue composizioni, tale ipotesi è plausibile ma ancora tutta da dimostrare.
I problemi concernenti la definizione del testo musicale di entrambi i concerti sono stati dettagliatamente affrontati da Flavio Arpini (in Giovanni Bottesini concertista e compositore, Atti del convegno di studi, Crema 26 ottobre 1996); per spirito di approfondimento riporteremo alcune sue osservazioni ricavate dalla lettura e dall’analisi dei manoscritti.
In relazione al concerto n. 1 egli spiega:
«La versione pianistica in Fa# minore lascia cadere nelle prime battute un ritmo accennato dagli archi sull’entrata del primo tema al violoncello. D’altronde la stessa soluzione che, per invero, semplifica il dettato si legge anche nella versione con pianoforte in Sol minore. In quel punto iniziale questo manoscritto reca una annotazione “sensibile” che si ritrova anche nella versione orchestrale in Fa# minore laddove entra il violoncello; tale indicazione si tramuta invece nella versione con orchestra in Sol minore in “solo/marcato”. La copia del Concerto nella versione con pianoforte in Fa# minore in questo punto non riporta nulla, solo esemplifica l’attacco ritmico delle parti. Dunque si potrebbe avanzare l’ipotesi di un legame privilegiato fra la versione con pianoforte in Sol minore e la versione orchestrale in Fa# minore. Ma ulteriori osservazioni pongono in altra prospettiva la questione dei rapporti fra i quattro manoscritti di questo Concerto.
Nell’autografo, quello con orchestra in Fa# minore, nell’Andante - il II movimento del Concerto - ad un certo punto si trova “Religioso”, indicazione inesistente nella (forse) copia orchestrale in Sol minore; l’indicazione è tramutata in “grandioso” nella versione con pianoforte in Sol minore che potrebbe anche essere autografa. Nella copia in Fa# minore per contrabbasso e pianoforte si riporta la sola forcella (con significato di crescendo) già accennata in quel punto nella partitura orchestrale autografa nella stessa tonalità. Dunque qui le versioni in Sol minore, l’una tacendo e l’altra mutando radicalmente, divergono non solo fra di loro ma anche, entrambe, dall’autografo in Fa# minore, mentre sembrerebbe seguire la versione autografa la sola copia nella stessa tonalità.
Alcune indicazioni divergenti saranno da ascrivere alla tradizione del testo, e se ne dovrà riconoscere il legame con la storia dell’esecuzione di questo Concerto, essendo riconducibili alle scelte del copista legate alle diverse esecuzioni che nel tempo si sono sovrapposte; altre, invece, saranno d’Autore.»
Risalire alla datazione del Concerto in Si minore è più complicato dato che nessuno dei quattro manoscritti presenta un’indicazione esplicita dell’autore a tal riguardo; l’unico indizio, come suggerisce Arpini, «può essere rappresentato dalla numerazione “2do” vergata sul terzo fascicolo della versione in Si minore e sui tre fascicoli della versione in Do minore, entrambe per contrabbasso e pianoforte. Un elemento da porre in relazione a tale indicazione numerica ci proviene dalle cronache: nel 1857 è segnalata l’esecuzione di un “Concertino” per contrabbasso da parte di Bottesini a Parigi, ma l’assenza della tonalità della composizione ne inficia l’identificazione». Sulla base di quanto scoperto si può solo ipotizzare che Bottesini abbia iniziato una prima formulazione del Concerto-Concertino intorno al 1857, ovvero qualche anno dopo il ‘primo’ Concerto.
Dallo studio del contenuto e dall’analisi dei manoscritti è possibile ripercorrere l’iter compositivo del concerto: sembrerebbe che Bottesini, dopo aver completato il I e il II tempo del Concerto in Si minore per contrabbasso e pianoforte sia passato alla stesura della versione orchestrale del Concertino in Do minore per poi ritornare, solamente in un secondo periodo, a completare la versione in Si minore con pianoforte aggiungendovi il III tempo. Dunque Bottesini stese dapprima il III tempo nella versione orchestrale in Do minore e, in un secondo momento, redasse la versione pianistica dello stesso in Si minore. Da quanto appena affermato appare chiaro un legame, almeno progettuale, esistente tra il Concerto in Si minore e il Concertino in Do minore.
Allo stesso modo sembra pure esserci un rapporto di connessione tra la versione per contrabbasso e pianoforte in Do minore e le due precedentemente citate. A tal proposito Arpini spiega: «l’Autore divenne copista di se stesso. Si possono infatti leggere passi derivati chiaramente ora dall’una ora dall’altra versione, quando non formulati unendo le due precedenti possibilità. L’ipotesi più plausibile è che il manoscritto servisse per una successiva fase rielaborativa testimoniata dal solo primo tempo, incompleto nelle sue parti, del Concertino in Si minore». La mancanza di una ‘versione ultima’ d’autore e soprattutto lo smarrimento di schizzi preparatori e abbozzi (che sicuramente dovevano esserci perché rinvenuti in relazione ad altri lavori di Bottesini) non ci permette di conoscere di più oltre l’indiscutibile complessità del ‘procedere compositivo bottesiniano’.
Una ‘questione di tonalità’
A questo punto ciò che meraviglia è sicuramente la questione relativa alle ‘tonalità’ di entrambi i concerti, riportate dai manoscritti, diverse da quelle che conosciamo mediante le edizioni dei concerti attualmente in commercio.
E’ bene premettere che ai tempi di Bottesini non esisteva il sistema della doppia accordatura permessa dalla doppia muta delle corde (rispettivamente dette da orchestra e da solista, che tutti oggi conosciamo) e quindi non si poneva né il problema della duplice tonalità dei pezzi né quello del conseguente ‘trasporto’ (questa pratica ci porta infatti ad avere due copie per ogni opera in duplice tonalità a distanza tonale; nel caso dei concerti in questione, è vero che le tonalità sono due ma sono a distanza semitonale). La presenza di più pezzi nel repertorio del nostro autore risultano scritti in due tonalità vicine proprio come nel caso dei due concerti: pensiamo alla Tarantella in La minore trascritta da Bottesini anche in Sib minore, al Bolero in La minore e in Sib minore oppure ancora alla Gavotta in La e in Sib maggiore. Questo modo di procedere ci fa intuire che Bottesini sentisse l’esigenza di avere all’occorrenza una versione ‘più brillante’ del medesimo pezzo. Il modo più semplice per ottenere una sonorità più forte e limpida era quello di suonare con le corde dello strumento più tese ovvero tirate e accordate un semitono più in alto. ‘Tirando su’ le corde Bottesini poteva suonare lo stesso pezzo con le stesse diteggiature ottenendo un risultato più soddisfacente (proprio lo stesso espediente che ancora oggi si usa ma che si ottiene cambiando le corde). Il problema di una tale pratica si rivelava nel momento in cui altri strumenti dovevano accompagnare il contrabbasso, da qui probabilmente nasceva l’esigenza di Bottesini di fornire gli ‘accompagnatori’ di partiture trascritte in entrambe le tonalità, quella originale e quella innalzata di un semitono. Ciò che convalida questo ragionamento è la mancanza di parti staccate contenenti la parte per contrabbasso solo scritta in due tonalità e soprattutto la mancanza di motivazioni che potevano portare il compositore a scegliere due tonalità così vicine per uno stesso pezzo.
I Concerti oggi
Chi oggi esegue il Concerto Fa# minore e quello in Si minore nelle rispettive tonalità di MI minore e di La minore suona falsi d’autore?
Per alcuni aspetti sì. Ma le ragioni non sono principalmente legate alla tonalità.
Il problema è più complesso e può essere ricondotto alle numerose licenze artistiche che i revisori, deputati alla trascrizione dei concerti, si sono illecitamente presi.
Ciò che accomuna tutte le edizioni è la mancanza di dichiarazione, da parte dei curatori, del manoscritto a cui si sono rifatti.
Arpini fa un analisi critica dettagliata delle edizioni più famose: per quanto riguarda il Concerto in Si minore, «l’edizione Doblinger del 1969, curata da Rudolf Malarie, titola Concerto n. 2 in h moll e non dichiara a quale manoscritto si rifaccia, ma la parte del solista proviene in gran parte dalla versione orchestrale in Do minore, cioè dal Concertino in Do minore con orchestra d’archi; per la parte pianistica, però, l’edizione si affida all’intervento del curatore che inserisce, subito in apertura, otto battute dovute solo alla sua penna, e non a quella di Bottesini».
Nell’edizione delle Nuove Consonanze di Milano, del 1990, «il curatore Umberto Ferrari dichiara di aver seguito il manoscritto che reca il titolo “Concertino in Do minore per Contrabbasso e orchestra d’archi”, ma avendolo “trascritto un tono sopra, nel rispetto di una consuetudine ormai consolidata in esecuzioni concertistiche”. Il titolo di tale edizione, però, risulta essere Concertino in Si minore per Contrabbasso e orchestra d’archi, senza che per questo ci sia un riferimento al manoscritto parmense, quello effettivamente in Si minore, ma con orchestra completa di fiati. Le legature ed i segni espressivi non sono quelli di Bottesini, ma, tacitamente, del curatore».
Nell’edizione Yorke del 1981, il curatore, Rodney Slatford, «si perita di informare il lettore che “The present edition is based on the autograph full score in C minor” […] ma titola l’edizione Concerto no. 2 in A minor for double bass and piano, a causa della trasposizione operata per risolvere i problemi di esecuzione di questo Concerto con l’accordatura moderna solistica. In realtà operando in tal modo, cioè innalzando di una sesta il testo scritto [nel manoscritto il concerto il Do minore parte dal Sol quarto spazio in chiave di basso mentre la versione in Si, dal Fa quarto rigo sempre in chiave di basso], l’esecuzione risulta essere negli ambiti di altezza reale richiesta dal compositore, avvicinandosi più delle altre edizioni alla soluzione del problema. Rimane però fermo il fatto che si esegue in Si minore una versione scritta in Do minore, anziché utilizzare la versione prescritta dall’Autore stesso in Si minore. L’edizione Yorke, infatti, segue anch’essa il manoscritto parmense del Concertino in do minore, pur con qualche svista, ed avendo operato una ulteriore trasposizione «has necessitated a few slight adjustments in the violin and viola parts although Bottesini’s phrasing and dynamic marking have been scrupulously observed». La parte pianistica acclusa al fascicolo per pianoforte e contrabbasso, invece, nonostante gli sforzi di Bottesini sia in Do minore che in Si minore in tal senso, è stata affidata ad un moderno revisore, Clive Pollard».
Lucio Buccarella che ha curato l’edizione dell’International Music Company di New York City del 1985 «toglie ogni autorità d’autografo ai manoscritti parmensi “in b minor (with piano)” e “in the higher key of c minor (with string orchestra)” e supera il problema della titolazione Concertino non menzionandola; il titolo risulta essere Concerto in b minor for String Bass and Piano. Il revisore avoca a sé la soluzione finale circa il problema delle “completely different phrasing, bowings and dynamic signs, often in open contrast, in the two manuscript”». Infatti Buccarella, postosi, come si legge nella Prefazione, il problema “Did Bottesini himself make all these changes, and, if yes, which has to be considered the amended version?”, ne dà in tal modo la soluzione: “The result of this editing is an attempt to compound and solve the mentioned question with the aim of giving the modern bassist a faithful, ‘trouble-free’ version of one of the most important and beautiful concertos of our literatur”. «Non è esplicitato in che modo si sia giunti alla soluzione; di fatto le legature seguono ora l’una versione ora l’altra, ora nessuna delle due».
Per quanto riguarda il Concerto in Fa# minore basterà notare come in una edizione del 1925 curata da Nanny, «addirittura si operi un taglio sull’ampia introduzione strumentale con buona pace delle anticipazioni e delle presentazioni dei temi assegnate proprio a quella sezione, trasponendo il Concerto in una ancora diversa tonalità, il Concerto in Fa# minore diviene così in Si minore. Quest’ultima edizione è stata riedita nel 1963 a New York, dalla International Music Company, con un nuovo curatore, Stuart Sankey, ottenendo in tal modo la revisione della revisione. Dello stesso concerto dal 1960 esiste una edizione a cura di Heinz Hermann per la Breitkopf, nella quale non è dichiarato nulla circa le scelte operate in merito ai testimoni; inoltre, per limitarci all’attacco del solista, le indicazioni dinamiche e di fraseggio seguono la versione in Sol minore e non quella in Fa# minore, la tonalità prescelta nell’edizione. Nulla è detto al proposito dal curatore.».
Alla luce dei fatti sembra ormai impossibile riconoscere nei Concerti le decisioni e le volontà di Bottesini; appare difficilissimo persino distinguere i diversi interventi dei revisori; dunque nella nostra posizione di interpreti ed esecutori ci sembra già tanto acquisire la consapevolezza (almeno) che le cose non sono mai (o quasi mai) come sembrano.
Osservazioni finali
In conclusione di questo nostro discorso, è possibile fare un’ultima interessante osservazione che servirà principalmente a confermare l’ineguagliabile bravura del nostro ‘domatore di contrabbassi’.
Sappiamo che Bottesini non amava scrivere in modo ‘trasposto’, cioè lontano dall’altezza reale dello strumento, come spiega egli stesso nella premessa alla Parte Seconda del suo Metodo per contrabasso:
« […] noi ci serviremo in questa seconda parte di note scritte senza far trasposizione all’ottava superiore. Questo sistema che non fu mai in uso toglie uno dei più grandi inconvenienti qual è quello di servirsi di più chiavi che adoperate male a proposito complicano le difficoltà d’una buona interpretazione confondendo il suonatore […] »
Andiamo ora, tenendo in mente queste parole, ad osservare a scopo esemplificativo la partitura del Concerto n. 2 in Do minore: la prima nota del concerto è un Sol, posto sul quarto spazio in chiave di basso. Questa nota secondo il moderno sistema di scrittura/lettura corrisponde alla I corda ‘vuota’ invece per Bottesini quella nota corrispondeva al Sol sul capotasto (ossia al suono corrispondente per altezza) cioè esattamente un’ottava sopra (lo stesso discorso è valido per il Concerto in Si minore, che inizia con il Fa posto sul terzo rigo sempre in chiave di basso). Questo ci fa capire che tutto il concerto veniva eseguito in una zona acutissima ai limiti dell’estensione del contrabbasso mediante l’uso frequente di armonici.
Del resto non potrebbe essere altrimenti; infatti se per un attimo provassimo ad immaginare che Bottesini iniziasse il suo concerto con un Sol ‘a vuoto’ (o con un Fa sulla terza corda, se ragioniamo in Si minore) ci renderemmo conto, andando avanti con l’esecuzione, dell’inammissibilità dell’ipotesi: la nota più bassa del concerto sarebbe un Do, impossibile da prendere su un contrabbasso a tre corde (accordato Sol-Re-La) come quello di Bottesini ma anche su uno a quattro, arrivando questo solo a MI (dunque, sarebbe possibile solo su un contrabbasso a cinque corde).
Quest’osservazione spiega perché oggi i Concerti di Bottesini sono, tra le sue opere che ancora si eseguono, quelli che presentano il minor numero di armonici e che si spingono ‘poco in avanti’ (basti pensare per esempio già solo all’estensione della Tarantella).
Sempre prendendo in esame il Concerto in Si minore vediamo che questo è stato trascritto dai revisori una sesta sopra l’originale partendo però dalla scrittura trasposta e non dall’altezza originale in cui era stato concepito da Bottesini. Per questo motivo ci sembra scontato dire che oggi suoniamo una versione ‘assai facilitata’ del concerto.
Silvia Mattei
Si ringrazia per la gentile concessione, consultazione e riproduzione fotografica del materiale manoscritto la Biblioteca Palatina di Parma ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
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