Intervista con Rufus Reid


Il nome di Rufus Reid è per antonomasia associato al manuale The Evolving Bassist, che ha costituito nel tempo l’unico vero punto di riferimento didattico per contrabbassisti e bassisti jazz, e la cui prima pubblicazione risale addirittura al 1974. Quello che in pochi sanno è che Mr. Reid vanta anche una carriera d’esecutore di tutto rispetto, al fianco di nomi che hanno fatto la storia della musica, quali Dizzy Gillespie, D. Gordon, Art Farmer, McCoy, Stitt, Duke Ellington, Milt Jaclkson, Lee Konitz, Don Byas; una personalità musicale che si è sempre messa in gioco, dimostrando una freschezza ed una apertura mentale non comuni, testimoniata dai nuovi progetti musicali che lo vedono negli ultimi anni sempre più coinvolto anche nel ruolo di compositore. Abbiamo avuto il piacere di contattarlo e di poterlo intervistare.

Nella tua carriera hai suonato con moltissimi importanti musicisti, quali Dizzy Gillespie, D. Gordon, Art Farmer, McCoy, Stitt, Duke Ellington, Milt Jackson, Lee Konitz, Don Byas.Di quali conservi un ottimo ricordo?
Conservo moltissimi splendidi ricordi di tutti loro, specialmente di Dexter Gordon, Dizzy Gillespie ed Art Farmer, che ho potuto conoscere molto bene. Erano grandi persone tanto quanto grandi musicisti. Faccio ancora qualche concerto con Lee Konitz. Mi costringe a suonare in maniera differente ed io lo amo per questo.

Quali sono stati i più importanti nella tua evoluzione come musicista?
Eddie Harris, Dexter Gordon e Thad Jones sono stati e continuano ad essere dei punti di riferimento per me.

Ho letto che hai cominciato come trombettista, poi sei passato al contrabbasso. Quanto ha influenzato la conoscenza di quest'altro strumento nel tuo personale modo di suonare? Quali sono stati i contrabbassisti più importanti nella tua formazione?
Diciamo che mi ha abituato ad ascoltare sempre le melodie quando suono linee di basso. I miei contrabbassisti preferiti sono stati Ray Brown, Oscar Pettiford, Ron Carter e Paul Chambers.

Il tuo metodo, The Evolving Bassist, è probabilmente il più famoso per bassisti jazz; dalla tua posizione d’insegnante, che nel suo curriculum vanta anche parecchie esperienze orchestrali, quali sono le maggiori e più evidenti differenze e congruenze didattiche tra approccio classico e jazz?
Stilisticamente suonano molto differenti, ma entrambi richiedono una profonda conoscenza dello strumento e del repertorio, oltre ad un’appropriata esecuzione, controllo ritmico e dinamico, perfetta intonazione, emozione e passione.

Quali sono gli altri studi didattici che utilizzi durante le lezioni? Che cosa pensi dei metodi di grandi contrabbassisti moderni quali Rabbath, Karr e Petracchi?
Dipende sempre dalle necessità dello studente.Non utilizzo mai un metodo univoco. E’ una cosa pericolosa. Non c’è mai una sola strada per fare qualche cosa. Penso che tutti questi virtuosi che hai citato, abbiano trovato un loro modo di suonare, che è diventato centrale per loro, ma sono sicuro che essi stessi hanno combinato diverse metodologie per realizzare un personale approccio allo strumento. Penso che per noi bassisti, me stesso incluso, è necessario cercare di attingere da più risorse, per trovare e fissare il proprio modo di pensare. Personalmente ho studiato il metodo di François Rabbath, che è stato mio insegnate ed è un caro amico. Il suo approccio ha veramente cambiato il mio modo di suonare più di qualsiasi altro.

Ascoltando il tuo ultimo lavoro, The Gait Keeper, emerge ovviamente la tua grande abilità come musicista ma anche l’ambizione e la ricerca di una forma compositiva moderna ed innovativa, comunque non dimentica della tradizione musicale jazzistica bebop e post bebop che ti ha visto protagonista nel ruolo di musicista. Come è nato questo lavoro? Da che cosa è stato ispirato?
Sono stato molto fortunato nella mia carriera, avendo avuto la possibilità di esibirmi e registrare con incredibili compositori, come Wayne Shorter, Eddie Harris, Bob Brookmeyer, Bobby Hutherson, James Williams, Jim McNeely, Benny Golson, Thad Jones, per nominarne alcuni. Sono sempre stato affascinato dalla loro abilità nello scrivere così splendide musiche e desideravo poterlo fare anch’io un giorno.

Verrai in Europa per presentare quest’album? Quando avremo il piacere di ospitarti in Italia?
Ultimamente sto lavorando ad una nuova composizione in quattro movimenti intitolata Linear Surroundings, scritta per il mio quintetto più clarinetto basso, violoncello, corno francese e voce femminile. Spero di riuscire a registrarlo a breve e sarebbe fantastico poterlo presentare in Europa nel futuro prossimo. Certamente verrò in Italia, che io e mia moglie amiamo.

Quale strumento usi? Quanti ne possiede e quali preferisci? Che tipo di amplificazione utilizzi dal vivo?
Al momento possiedo due contrabbassi tedeschi. Ho ancora lo strumento con cui ho effettuato le prime registrazioni con Dexter Gordon. Quello che sto suonando più spesso ultimamente è uno Joseph Rieger del 1805 cc., con gli angoli a Buseto, su cui monto delle corde Velvet-Anima. Inoltre utilizzo pickup Barbera Transducer e Schertler Transducer, un microfono AMT (Applied Microphone Technology), insieme al Schertler System, collegato il tutto ad un amplificatore Walter Woods.

Nel passato nel Jazz trovavano voce alcune questioni e problemi politici ben radicati nella società americana. Sto pensando a Charles Mingus o Max Roach, ma anche al Free Jazz e non solo. Ora sembra che questo spirito sia più a suo agio in altri generi musicali, come l’Hip Hop, il Reggae, il Rap. Che cosa ne pensi?
Ci sarà sempre qualche genere che metterà in musica problemi sociali. Mingus era un personaggio molto sensibile che amava polemizzare.

Quali progetti hai per il futuro?
Il mio nonetto, Linear Surroundings, di cui ho parlato in precedenza e la registrazione di alcune mie composizioni per big band

Riccardo Valsecchi

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